sabato 14 dicembre 2013

Eichmann o Taylor?



Quando l’uomo si scopre impelagato in un’esistenza di caotico nulla, l’unico sentimento che gli risulta possibile è la paura: per vincerla, egli cerca di “attribuire senso” tramite categorizzazioni, costrutti mentali che aiutano ad organizzare il caos e gestire l’ingestibile.
C’è chi divide il mondo in bene e male, giusto e sbagliato, bello e brutto, c’è chi crede a religioni e ad altre vite, migliori e peggiori di questa, c’è chi combatte per ideali e ferve di politica, chi razionalizza ogni cosa, anche la più romantica luna piena, c’è chi vive proiettato in un futuro luccicante come questi gingilli di Natale, eternamente prossimo e mai attuale. E tutti vogliono bene, s’innamorano, amano.
C’è qualcosa di paradossale in tutto ciò, nel fatto che l’unico modo per gestire la paura del reale sia quello di credere a menzogne da noi stessi inventate.

C’è qualcosa di paradossale, ma anche di estremamente rassicurante: dipende in parte da noi, quello che inventiamo e a cui crediamo.

In fondo, nessuno più di me potrà mai decidere se dietro la mia efficienza si nasconda un Eichmann o un Taylor. O un anonimo signor nessuno.