martedì 13 settembre 2011

Spalle al muro


Seduta sul letto, spalle al muro, due ore e mezza di sonno che mi fanno pesare la testa più del mondo su Atlante. Sì, meditavo di andare a dormire. Ma qualche pensiero mi balena in testa e mi scopro qui a digitare altre insulse parole di stress-rabbia-tristezza – e forse una puntina di disperazione inammissibile.

Ho capito cosa significhi non poter fare del male a una persona senza patirne irrimediabilmente. A ventun anni. Ma l’ho capito ed è qualcosa. È un doloroso punto di partenza per mettersi in gioco, e un’ottima occasione per rischiare con testa e cuore, e accettare l’eventualità (non poi così remota) di un pugno allo stomaco che all’improvviso di fa vomitare di schifo ciò con cui ti sei goffamente saziata per anni. Per poi lasciarti lì, stremata e sola, col terrore di fare/farti ancora male e l’esiziale orgoglio di averlo fatto.

Ti rifugi, forse più che altro da te stessa, dietro giustificazioni perfettamente razionali, che poco servono nel momento in cui è il cor a prendere il timone di quella barca che a vele stracciate vaga senza senso, apprezzando la struggente bellezza del mare che la rovinerà. Spiegazioni incomprensibili anche a chi ti vuole ascoltare, perché effettivamente un po’ meglio potevi fare, oggettivamente e nonostante tutto.

Persone senza soddisfazioni. Individui anonimi che vivono i loro giorni nell’amara delusione di non vedersi sempre felici. Destinati a sperare per sempre.
Ma queste sono solo menzogne: parole vane, fuochi fatui in una cimiteriale atmosfera autunnale che sa di umido e di passato.
Persone a cui invidi di essersi saputi trovare le proprie soddisfazioni, di avere ancora la forza di “sperare disperatamente” con tutta l’anima, e di dispiacersi ragionevolmente dell’ingiusto corso di eventi.

Spalle al muro perché quelle stanno bene lì: sostenute da una labile quanto inutile protezione, un tanto ricurve in avanti a sopportare il greve macigno della vita vera in cui l’inesorabilmente fermo orologio di Hesse segna l’ora giusta troppo poco spesso.

Due ore e mezza di sonno, e comunque queste parole qui perché, evidentemente, te ne frega abbastanza. Di quel piccolo e grande uomo cui ti avvicini sempre più e da cui ti scopri talora irrimediabilmente più lontana.

Uh?
No, penso non si tratti della deriva.

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