martedì 6 aprile 2010

Lezioni di tutto


Casa, che brutta cosa… Ormai non sono più parte di questo mondo, e io dico per fortuna. Tornata alle amnesie della vecchia, alla stanchezza di tuo nonno che ha ancora più forza di chiunque altro, ai deliri di tuo zio dopo qualche bicchiere di troppo (per lui ), ai tuoi stralunati cugini, a tua zia paterna che è l’unica forse felice della famiglia. Ma soprattutto alla tua famiglia appunto, fatta di continui litigi per aria fritta, ai discorsi di politica detta da rozzi contadinazzi (nulla contro i rozzi contadinazzi, per carità) che pensano di aver capito il mondo, e come puoi tu dirgli che esso è più grande, molto più grande della provincia in cui sono sempre vissuti? Non si può gettarci un secchio d’acqua fredda in faccia e proferire: “Non hai capito proprio un cazzo di questa vita che ormai stai per concludere, e neanch’io, ma io ho vent’anni, ne ho altri venticinque davanti per provare a fare qualcosa per me e per questo fottutissimo mondo di merda, tu invece ne hai più di cinquanta e non hai più tempo per un cazzo, per una serata in compagnia o cos’altro, ce li hai i soldi sì, o te lo auguro, ma hai buttato via la tua vita senza capire come diamine si vive, e spero di tutto cuore che ti sia servito questo manrovescio che ti ho dato con tutta la forza che ho in corpo, così magari non ti accorgerai soltanto in punto di morte di non aver vissuto…”
Maturi un’insofferenza, disperata quasi, verso quella donna che non fa che parlare perché c’ha la bocca per farlo, ripete tutto quello che dici a condizione che non contraddica quanto dice suo marito, lei che ora ti siede accanto e vuole instaurare un dialogo forzatamente perché di te qualcosa gliene frega in fondo, ma che però ti rinfaccia tutto, che quando le dici: “mi hanno preso per il workshop di Torino!!” ti risponde: ”come lo sai?”, e proprio quella –ti accorgi- è tua madre, cazzo…
E poi c’è lui: tranquillamente legge il giornale, perché anche se la stampa è tutta venduta – così afferma, è da lì che trae la verità da importi e a cui ti devi adeguare se vuoi avere internet per un paio d’ore, non è possibile condurci una discussione interessante e concludente dal momento che, pur dicendosi aperto e “di sinistra”, è la persona più chiusa, tradizionalista e reazionaria che io abbia avuto in sorte di incontrare: mio padre, da cui tuttora dipendo economicamente, ahi lasso…
Poi c’è tuo fratello, che si salva pur con nulla di fatto, pur non facendo nulla, almeno si è in due, come si suol dire: mal comune, mezzo Claudio, o gaudio insomma…

Bene, ed ora pensiamo a cose serie, come comunicare semplici sentimenti di amicizia a una delle persone per cui torni in Veneto ogni tanto…
“Beh, credo di sentirmi di dirti una cosa, senza pretese strambe o bisogno di riconoscimenti reciproci, probabilmente era quello che ti avrei scritto in un ipotetico biglietto di auguri di compleanno che tuttavia non ho trovato allora cuore per farlo. E questa cosa è che ti ammiro un sacco per quello che sei e tutto quello che fai e non fai, e per questo ti auguro il futuro meraviglioso che ti meriti; e poi che ho passato momenti molto belli con te, so quanto significhino e abbiano significato per me caffè, chiacchierate insonni e concerti vari, e di tutto ciò ti ringrazio, anche se credo che l’amicizia non si dica con un grazie… piuttosto, se esiste un modo per dirla a parole, ed ora io ho il cuore di farlo, boh, penso proprio che sia molto semplice… ti voglio bene, Scara. Ecco, tutto qua...”
L’avrò modificata ventimila volte, ma giuro che è la cosa più spontanea e sincera che io possa dire ad una persona veramente fantastica e fantasticamente vera.

26-III-2010


Esigenza spasmodica di scrivere... Ma non di redigere il curriculum per il workshop a Torino, non di prendere appunti, non di stendere un esaminando tema sulle teorie moderne di economie di scala, non di digitare una mail che mai riceverà risposta malgrado le promesse o un sms rompicoglioni…
Semplicemente scrivere una pagina di blog che mai avrà risposta perché non ne chiede: vuole soltanto dire questa insofferenza dovuta non esclusivamente ai troppi caffè e al troppo poco sonno…

Qualcuno che ti dice “ti voglio bene”, qualcun altro che te lo dice per sbaglio, con qualcuno cui tenevi si è rotto qualcosa e sai probabilmente irrimediabilmente…
Una giornata di nuvole grigio chiaro per parlare della seconda scuola di Vienna, ma con la testa a Baudelaire… è sempre lui, maledizione…
Cielo giallo all’orizzonte: un tramonto andato a male…
Il trio Rachmaninoff a fare da melanconica colonna sonora ad un treno stranamente non in ritardo… Probabilità di ottenere quella agognata conversazione colta: zero.

Voglia di morire: zero.
Voglia di vivere: zero.
Voglia di volere: infinito.

Voglia di piangere.
Pensiero ricorrente: Federica, il bene che le voglio. E la gente che passa, i sorrisi forzati, e questo muoversi continuo. Alla ricerca di che cosa?

Che diamine è la legge dell’ortica?

Alla ricerca dell’altro per evadere da noi stessi…
Alla ricerca di noi stessi per evadere dal mondo…
Alla ricerca del Bello per evadere punto…

Toh, forse sta arrivando la primavera… Siamo già in primavera… Ed è invernale, sottilmente subdola, ingenua ma disincantata, come quella trascrizione schoenbergiana del Kayser Quartet di Strauss.

Un anno dopo…




Un’altra festa, questa volta da me, ma senza proseguimento in castello.
Sono sempre io fondamentalmente, con le solite insofferenze e, in qualche istante, un po’ più voglia di cercare.
Con un blog. “Il sogno in una lacrima”. Non c’ho ancora voluto cambiare nome perché mi rispecchia troppo questa condizione.
Appena tornata a casa, purtroppo. Qui c’è sempre qualcosa che non va, qualcosa in più che non va rispetto a Gorizia e Trieste. E probabilmente il peggio è proprio costringersi ad ascoltare James Blunt, e spiare malinconicamente le gocce che cadono sulla terrazza. Anche un anno fa pioveva, e Jim mi sussurrava che “chi odia la pioggia non capisce che essa consente di andare in giro a testa alta pur avendo il volto rigato di lacrime”…

Domande Erasmus a manetta, passaporti da richiedere, una piantina da bagnare, a breve Torino… E tu te ne vai, Fede: si sa che ti prenderanno per l’America, ancora tre mesi di convivenza e poi metterai le ali e scomparirai dalla mia vita per sei mesi (o per sempre..?), già oggi mi è scesa qualche lacrima a pensarci. Non dipendo da te, ma forse una parte della mia felicità sì, un anno dopo, è quel che si dice amicizia...

Eh già, un anno dopo è sentirsi un po’ più vecchi e un po’ più soli, è fare qualche sorriso in più, bere forse un po’ meno… Un anno dopo non è più rimpiangere il passato o lamentarsi del presente: è piangere il futuro.